«La cultura della cura come percorso di pace»
Messaggio del Papa per la Giornata della Pace, 1 gennaio 2021
Mettere i soldi delle armi in un fondo contro la fame. È l’idea di Papa Francesco nel messaggio per la 54ª Giornata mondiale della Pace «La cultura della cura come percorso di pace … come impegno comune, solidale e partecipativo, per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti e per interessarsi alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto, all’accoglienza», via privilegiata per la costruzione della pace.
La pandemia aggrava la crisi alimentare, economica, migratoria; il Papa rinnova l’appello «affinché misure adeguate garantiscano a tutti l’accesso ai vaccini»
Il Papa si rivolge ai capi di Stato e di governo, alle Organizzazioni internazionali, ai capi spirituali e ai fedeli delle varie religioni, a uomini e donne di buona volontà
LA PANDEMIA AGGRAVA LA CRISI – La pandemia aggrava la crisi alimentare, economica, migratoria e provoca pesanti sofferenze. Ricorda medici, infermieri, farmacisti, ricercatori, volontari, cappellani e tutto il personale. Rinnova l’appello «affinché misure adeguate garantiscano a tutti l’accesso ai vaccini e alle tecnologie necessarie. Accanto a numerose testimonianze di carità e solidarietà» ci sono «diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia, guerre e conflitti che seminano morte e distruzione». Il Pontefice fonda le basi della cultura della cura in Dio Creatore, nel suo Figlio Gesù Cristo e, infine, nella dottrina sociale della Chiesa, come spiega nell’enciclica «Laudato si’»: «La cura autentica della nostra vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile da fraternità, giustizia e fedeltà». La missione di Gesù, che egli proclama nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-21), è «portare ai poveri il lieto annuncio; proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; rimettere in libertà gli oppressi» perché «Gesù è il buon pastore che si prende cura delle pecore, il buon samaritano che si china sull’uomo ferito e che suggella la cura offrendosi sulla croce e liberandoci dalla schiavitù del peccato e della morte».
I QUATTRO PRINCIPI DELLA GRAMMATICA DELLA CURA – “Tutti nella stessa barca, nessuno si salva da solo”
Una volta libera dalle persecuzioni, la Chiesa attuò la «charitas christiana» istituendo o suscitando «ospedali, ricoveri per i poveri, orfanotrofi e brefotrofi, ospizi, esempi di carità operosa di tanti testimoni luminosi della fede». La dottrina sociale della Chiesa offre a tutti la «grammatica della cura» in quattro principi: «Promozione della dignità di ogni persona; solidarietà con poveri e indifesi; sollecitudine per il bene comune; salvaguardia del creato». Promozione della dignità e dei diritti della persona, concetto nato e maturato nel Cristianesimo. Persona «dice relazione, non individualismo, afferma l’inclusione e non l’esclusione, la dignità unica e inviolabile e non lo sfruttamento. E ogni persona è creata per vivere insieme nella famiglia, nella società dove tutti i membri sono uguali in dignità». Una dignità con diritti e doveri. Solidarietà con poveri e indifesi: contro un’ecologia a senso unico, Francesco riafferma: «La cura della Terra, casa comune, non può essere autentica se non si accompagna alla tenerezza per gli esseri umani». Di fronte all’acuirsi delle disuguaglianze, invita «a imprimere alla globalizzazione una rotta comune, veramente umana» – come asserisce nella «Fratelli tutti» – sollevando quanti soffrono «da povertà, malattia, schiavitù, discriminazioni, conflitti».
Sollecitudine per il bene comune riguarda anche le generazioni future. Bergoglio ribadisce: «La pandemia mostra che ci troviamo sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme», come disse il 27 marzo nella piazza San Pietro deserta, «perché nessuno si salva da solo e nessuno Stato può assicurare il bene comune della propria popolazione». I rapporti tra le nazioni «dovrebbero essere ispirati a fratellanza, rispetto reciproco, solidarietà e osservanza del diritto internazionale», rispettando il diritto umanitario «soprattutto in questa fase in cui conflitti e guerre si susseguono senza interruzione. Molte regioni e comunità hanno dimenticato il tempo in cui vivevano in pace e sicurezza». La salvaguardia del creato è un dovere impossibile da realizzare se le città sono epicentri di insicurezza; «i loro abitanti vengono attaccati e bombardati da esplosivi, artiglieria e armi leggere; i bambini non possono studiare; uomini e donne non possono lavorare. La carestia attecchisce dove era sconosciuta. Le persone sono costrette a fuggire».
FONDO CONTRO LA FAME CON I SOLDI DELLE ARMI – Francesco rilancia la proposta che Paolo VI fece quando parlò all’assemblea Onu a New York (4 ottobre 1965): «Dobbiamo fermarci e chiederci: cosa ha portato a rendere normali i conflitti nel mondo? Come convertire il nostro cuore alla pace nella solidarietà e nella fraternità?» Pandemia e cambiamenti climatici mettono in luce la grande dispersione di risorse in armi, specie quelle nucleari, che potrebbero essere utilizzate «per la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari». Bisogna «costituire con i soldi delle armi e delle spese militari un Fondo mondiale per eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo». Quindi è fondamentale che la cultura della cura nasca in famiglia, si sviluppi nella scuola, nell’università, nei media. Conclude: «Non può esserci pace senza la cultura della cura, un impegno a interessarsi alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto mutuo e all’accoglienza». I cristiani guardino alla Vergine Maria, «stella del mare e madre della speranza» e collaborino «per avanzare verso un nuovo orizzonte di amore, pace, fraternità, solidarietà, sostegno, accoglienza. Non cediamo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specie dei più deboli; non abituiamoci a voltare lo sguardo; impegniamoci a formare una comunità di fratelli che si accolgono e si prendono cura gli uni degli altri».
fr. Gianbattista Buonamano
OFM Conventuali