Il Vangelo della casa comune. Le azioni che costruiscono fraternità.
Fraternità è perdonare
Il percorso formativo nazionale 2020-2021 dal tema “Le azioni che costruiscono fraternità” propone, dopo aver analizzato le voci ascoltare-ringraziare-condividere-servire, come ultima tappa il perdonare. L’argomento è di fondamentale importanza per la nostra crescita spirituale ed un argomento molto centrato in Quaresima, periodo “forte” in cui si sollecita la preghiera, il digiuno e l’elemosina, perché perdonare presuppone la preghiera accorata a Dio affinché perdoni i nostri peccati e ci dia la forza di perdonare ai fratelli; richiede il digiuno dalle ostilità e controversie e l’elemosina (cioè il donare quanto agli altri occorre fortemente) della nostra accoglienza verso i fratelli con i quali abbiamo delle situazioni in sospeso.
Per le riflessioni su questo argomento, faremo riferimento al testo di Padre Cristoforo Piacitelli “Con San Francesco nel mondo e per il mondo” ed il particolare al capitolo IV il cui titolo è: “Il perdono è festa” La missione di Gesù è di portare all’uomo la misericordia del Padre, che passa attraverso il perdono dato da Cristo Crocifisso. Leggere il Vangelo è lo stesso che leggere la teologia del perdono. Dalla meditazione delle parabole della misericordia e degli incontri di Gesù con i peccatori possiamo rilevare che: – l’attenzione di Gesù è posta sul peccatore, in una dinamica di rinnovamento, e non sul peccato – Gesù concede senza difficoltà la parola del perdono, perché perdonare è ridare la vita a chi l’aveva perduta – il perdono è festa, infatti “c’è più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti…” (Lc 15,7)
Perdonare non è semplicemente “dimenticare il male ricevuto”, “far finta di niente”, ma comporta che chi ha sbagliato diventi nuovo ai nostri occhi, sia amato con gioia e anch’egli dichiari il suo amore per noi. “Pietro mi ami più di tutti?” (Gv 21, 15-17) Sicuramente è il perdono una delle componenti più importanti, se non la più importante, del Vangelo. Come tale diventa il vero banco di prova del nostro essere cristiani: quel contesto dove non si può fingere, dove il sentimento, la razionalità e l’istinto devono convergere in un’unica direzione, con un unico scopo, quello di amare. Amare come donazione di noi stessi. Amare incondizionatamente, al di sopra delle nostre opinioni, dei nostri bisogni, delle nostre paure, dei nostri pregiudizi. Questi concetti sono facili da capire e anche da individuare come via, verità e vita. I problemi insorgono quando il perdono è da attuare e cioè quando cuore, mente e corpo faticano a convertirsi alla logica del Vangelo e quando ci scopriamo poveri, se non addirittura miseri, di misericordia. Paradossalmente, i contesti più difficoltosi in cui vivere la festa del perdono sono proprio quelli della famiglia e della Fraternità. Poniamo quindi come primo aspetto del perdono la richiesta al Padre di poterlo vivere nel nostro cuore. La preghiera, intesa come richiesta autentica di un qualcosa di cui abbiamo fortemente bisogno, e cioè essere perdonati per poter perdonare, è infallibile, perché conforme alla volontà di Dio. Non è importunare Dio, non è forzare la sua mano, ma aprire la nostra al suo dono, sempre a disposizione di chi lo desidera.
Passiamo ora a valutare gli aspetti più importanti e profondi del perdono, attraverso la parabola per eccellenza del perdono, quella del “Padre misericordioso”, anche detta del “Figliuol prodigo” (Lc 15, 11-32) 11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane di loro disse al padre: “Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta”. Ed egli divise fra loro i beni. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali. 16 Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava. 17 Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi’. 20 Egli dunque si alzò e tornò da suo padre. Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22 Ma il padre disse ai suoi servi: “Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; 23 portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”. E si misero a fare gran festa. 25 Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. 26 Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse. 27 Quello gli disse: “È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28 Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. 29 Ma egli rispose al padre: “Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; 30 ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato”. 31 Il padre gli disse: “Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”».
Il culmine del messaggio dell’evangelista Luca è nel banchetto festoso che fa il Padre per rallegrarsi del figlio “morto e risorto”, perduto e ritrovato. Leggeremo tutto alla luce di quanto dice il Padre: “bisognava far festa”, rivelando tutto il suo amore senza condizioni per il figlio peccatore, la sua gioia di essere da lui capito come padre ed infine l’invito al “giusto” di riconoscerlo come fratello, gioiendo con lui. La parabola ci invita ad essere misericordiosi verso i fratelli. La conversione non va limitata al processo psicologico del peccatore che ritorna a Dio, ma consiste soprattutto nel cambiamento dell’immagine di Dio che anche il “giusto”, oltre il peccatore, deve fare. Convertirsi significa scoprire il volto di tenerezza che Gesù ci rivela, volgersi dall’io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, o dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di essere figli del Padre. Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre, comune sia al fratello minore che al maggiore. Il primo, per liberarsene instaura la “strategia del piacere”, che lo porta ad allontanarsi da lui, con le gradazioni del ribellismo, della dimenticanza, dell’alienazione morale e del nichilismo (che non dà più valore agli ideali). L’altro, per imbonirselo, instaura la “strategia del dovere”, con una religiosità servile, che sacrifica la gioia di vivere.
Ateismo e religione, dissolutezza e legalismo, nichilismo e vittimismo sono tutti aspetti che scaturiscono da un’unica fonte: la non conoscenza di Dio. Hanno un’idea di lui come padre-padrone. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo per tenere schiavi gli uomini (Voltaire); se ci fosse, bisognerebbe distruggerlo, per liberarli (Bakunin). Questa parabola ha, come intento primo, di portare il “giusto” (interpretato dal fratello maggiore) ad accettare che Dio è misericordia; scoperta gioiosa per il peccatore ed a volte “sconfitta mortale” per il giusto. Ma solo così si può uscire dalla dannazione di una religione servile, e passare, come S. Paolo, dalla irreprensibilità dell’osservanza della Legge, alla “sublimità della conoscenza di Gesù Cristo”, suo Signore. E’ la conversione dalla propria giustizia alla misericordia di Dio.
Siamo amati da Dio non perché noi siamo buoni, ma perché Lui è nostro Padre. Accogliendo come fratelli tutti i suoi figli, diventiamo come Lui che è misericordia in sé e per tutti. Per questo l’ebreo accetterà il pagano; Stefano “martire” di Gesù, perdona ai suoi persecutori; Paolo, da “fratello maggiore”, si riconoscerà primo dei peccatori. Sgonfiato dal suo protagonismo di irreprensibile, si farà l’ultimo di tutti, per accogliere tutti.
Il perdono libera.
Poche volte siamo offesi; molte volte ci sentiamo offesi: Perdonare è abbandonare o eliminare un sentimento ostile contro il fratello. Chi soffre di più: colui che odia o colui che è odiato? Chi è odiato vive generalmente tranquillo nel suo mondo, mentre il risentimento distrugge il risentito. L’amor proprio è cieco e suicida: preferisce la soddisfazione della vendetta al sollievo del perdono. Ma è follia odiare: è come immagazzinare veleno nelle viscere, Chi serba rancore vive in eterna agonia. Non c’è al mondo frutto più saporito della sensazione di serenità e di sollievo che si sente perdonando, così come non c’è fatica più sgradevole di quella che produce il rancore. Vale la pena perdonare, anche se solo per interesse, perché non c’è terapia più liberatrice di quella del perdono. Non è sempre necessario chiedere perdono o perdonare con le parole. Molte volte basta un saluto, uno sguardo benevolo, un avvicinamento, una conversazione. Sono i migliori segni del perdono. A volte succede che dopo aver accettato il perdono, tra le persone, dopo un certo tempo, rinasca l’avversione. Non bisogna spaventarsi: una ferita profonda ha bisogno di molte cure. Torniamo a perdonare ancora finché la ferita non sia completamente rimarginata.
Spunti per una riflessione personale e comunitaria
Comprendere per perdonare:
Se comprendessimo meglio colui che ci sembra avversario, a volte non ci sarebbe neanche bisogno di perdonare.
- al di fuori di casi eccezionali, nessuno agisce con cattiva, consapevole intenzione. Non starai attribuendo a questa persona intenzioni perverse che lui mai ha avuto?
- hai mai pensato che il tuo “avversario” possa non aver mai detto ciò che ti hanno riferito che lui ha detto? Oppure possa averlo detto con un altro tono o in un altro contesto?
- riesci a immaginare che chi sembra orgoglioso potrebbe essere in realtà solo timido? Oppure chi ha una condotta che sembra aggressiva in realtà è in autodifesa?
- sei convinto che chi non riesce a rapportarsi con gli altri è il primo a soffrire, il primo a non voler essere così?
Comportamenti:
- quando subisci un torto, ti senti vittima di un’ingiustizia e dici: me la deve pagare! Sul piano umano è comprensibile questa reazione, ma prova a riflettere: Dio si comporta così con te?
- come, quando ed a quali condizioni perdoni all’altro?
- Riesci ad assumere i sentimenti di Gesù davanti al tuo “avversario”?