La Responsabilità del Servizio

Intervento di Maria Felicia Della Valle al ritiro dei Consigli Ofs della Zona Interdiocesana di Avellino che si è tenuto il 12 ottobre 2019 al Convento Sant’Egidio di Montefusco (AV)

La parola “servizio”, nel mondo laico, quello non cattolico – cristiano, ha un’accezione negativa. Guai a dire a una persona: sei un servo o sei uno schiavo!
Fa un po’ ribrezzo questo termine.
Tuttavia, però, anche nel mondo laico c’è un esempio di servizio che è il più alto al mondo ed è l’esperienza delle madri.
In quale casa una madre non è la serva di tutti i membri della famiglia. Io penso a mia madre che è l’ultima che si siede a tavola ed è la prima che si alza, quando stiamo per terminare da mangiare. Lei è una serva della casa. E’ la persona che lavora di più per la casa, ma anche la più amata, rispettata e onorata.
Dunque, togliamoci un attimo dalla testa il termine “servizio”, come qualcosa di negativo, perché negativo non è.
Chi è il servo. Il servo è colui che ascolta un imperativo e lo porta a termine.
Nel mondo cristiano, il servo è colui che obbedisce alla Parola di Dio.
Ma perché Dio usa la parola “servo”, se nell’accezione del mondo è un termine negativo? Forse per purificarlo? O, semplicemente, per far capire concretamente chi è il servo?
Nella cultura antica il servo è una persona che non ha diritti, se quelli che il proprio padrone gli dà. E’ tutelato dal padrone, ma non ha potere decisionale, viene usato per compiere le azioni più manuali, ma anche quelle fondamentali.
Allora, perché Gesù usa il termine servo? Avrebbe potuto usare, come in altre pagine del Vangelo, il termine “amico” e invece no, sceglie questo.
E perché? Una prima riflessione è che quando si vede il servo, non avendo dignità il servo in sé, nell’antichità, si pensa al suo padrone. Dunque, ogni azione che noi compiamo in quanto servi della fraternità, è perché siamo stati mandati da Dio, siamo stati scelti da Dio.
Io [quando qualche fraternità chiede la mia disponibilità – n.d.r.] difficilmente dico no, perchè, se il Signore mi ha chiamato a vivere un’esperienza di fede all’interno della fraternità, non posso dire di no alla fraternità, perché è lì che egli mi educa, mi fa crescere, mi custodisce e mi fa diventare santo.
Il testo di riferimento di quest’oggi è il brano del “servo inutile” (Lc 17,7-10) che è un brano affascinantissimo.
In questo brano Gesù dice: “Non avete capito che cosa dovete fare?” e i discepoli gli chiedono di accrescere la loro fede.
La prima richiesta non è “mandaci a fare qualcosa”, ma “accresci la nostra fede”, proprio a far comprendere una cosa fondamentale: il nodo cruciale del servizio, il nodo cruciale delle nostre fraternità, non sono le azioni pastorali, non è la relazione col Primo Ordine, non è la relazione con la GiFra, né con il Secondo Ordine; il nodo cruciale è la fede!
Le nostre fraternità sono luoghi in cui dimora la fede? Sono luoghi in cui si accresce la nostra fede? Sono fabbriche in cui ciascuno di noi modella la propria fede?
Che cos’è allora questa fede?
Nella nostra mente, se ci chiediamo che cos’è la fede, la riusciamo a dare una risposta ferma, precisa? Che cos’è?
La fede è ascolto della Parola di Dio: sì, sicuramente; è una ferma predisposizione d’animo nei confronti della nostra realtà, ok; è credere ciecamente: ok; ma cosa comporta? Che cosa comporta la fede, se non il servizio?
Vedete, il vero servo è colui che non si gloria del proprio servizio, ma è colui che rende a Dio gloria, per tutte le meraviglie che Questi compie attraverso di lui.
Questo cosa significa? Che non c’è nessuna forma di predilezione. Perché ha scelto me e non un altro? Perché Dio legge le potenzialità che sono nel cuore di ognuno.
Quando il Vangelo va avanti che cosa dice? Cosa risponde Gesù? Bellissimo: “Se aveste fede come un granello di senape!”.
Ma non è forse una provocazione quella che sta facendo Gesù ai suoi discepoli? Non sta dicendo che, forse, la loro fede è talmente tanto piccola, ancor più piccola… e anche se fosse così piccola, sarebbe capace di smuovere le montagne.
Dunque il problema è questo: smuovere le montagne! E quali sono le montagne?
Bellissimo il brano di S. Francesco, anche a lui viene fatta la stessa provocazione; lui che era il santo, il nostro santo. Anche lui, toccato dalle tentazioni, dice: sto sbagliando tutto!
Quante volte Francesco lo dice! Quante volte: sto’ sbagliando tutto! La tentazione degli uomini che si abbandonano totalmente a Dio è quella di dire: ma forse sto sbagliando? Forse è un atto di superbia quello che sto pensando, dice Francesco.
E invece no! Dio gli dice: se avessi fede!
E lui dice: qual’è la montagna? E Dio gli risponde: la montagna sono le tue tentazioni.
Quali sono le nostre tentazioni, oggi? Io oserei dire che una grande tentazione è la stessa nostra fraternità, perché, a volte, la fraternità è il luogo in cui la nostra santità prende forma, si concretizza; altre volte è la nostra condanna.
Smette di essere la chiesa-porto, dove tutti possono entrare, per diventare la chiesa-fortino, dove dobbiamo stare segregati all’interno e nessuno può entrare.
Se notate, io al termine “fraternità”, ho sostituito il termine “chiesa”, perché non dobbiamo dimenticare mai che noi siamo una parte di Chiesa e noi, in modo speciale, entriamo a far parte del popolo di Dio – il popolo laico – che è chiamato nel mondo a vivere il messaggio di Cristo e noi lo facciamo seguendo l’esempio di Francesco.
Un piccolo inciso. Quando pensiamo alla santità, pensiamo al santo come qualcuno da copiare: io voglio diventare come San Francesco, voglio diventare come santa Chiara, come Santa Faustina.
Pensate a un Santo: è sbagliato, non è vero, a mio avviso. Non è vero, a mio avviso, perché il vento dello Spirito soffia dove vuole e non fa fotocopie, ma crea cose nuove.
E’ vero, noi abbiamo Francesco come modello, ma non siamo sue fotocopie e non dobbiamo esserlo; dobbiamo trovare il modo affinché oggi, nel 2019, Cristo venga visto nella Chiesa e al di fuori di essa, come il mondo non riesce a leggere.
A volte noi abbiamo questo problema, ci poniamo nella Chiesa non nell’ottica francescana, se così si può dire, secondo l’insegnamento francescano, di seguire Cristo povero e ultimo, perché pensiamo, magari, di essere superiori.
Proprio perché terziari, pensiamo di avere una marcia in più. No! No!
Tutti, allo stesso modo, concorriamo all’edificazione del regno di Dio. Tutti! Noi, magari, scegliamo l’immagine di Cristo povero e crocifisso, qualcun altro sceglierà un’altra immagine.
E’ vero, però, che, quando ero gifrina esaltavo l’immagine di Francesco giullare di Dio, per la gioia, l’allegria. Quando sono passata nel Terz’Ordine ho trovato una difficoltà, perché quella gioia, quell’allegria, quasi doveva essere messa da parte, davanti a Gesù morto e crocifisso.
E’ vero, però le persone fanno ridere vanno tutte in Paradiso. Ce l’ha detto anche il Papa: un cristianesimo dal muso lungo, triste, non porta da nessuna parte.
Il nostro amato p. Rocco (Casaburno), quando dovevo discutere la tesi – eravamo io, lui e p. Gianluca Manganelli – stavamo chiacchierando e lui mi disse: “Felì, dobbiamo essere sorridenti,perché solo chi ride va in paradiso. Io sono convinto che i comici sono tutti in paradiso”.
Dopo tanti anni, quando il Papa disse questa cosa, pensai che p. Rocco aveva ragione: dieci anni prima me l’aveva detto.
Questa, però, è la realtà: la fede dal muso appeso non serve e cos’è che ci rende gioiosi? Il sentirsi amati.
Noi siamo amati da Dio in un modo unico ed irripetibile; siamo prediletti ai suoi occhi, perché siamo gli amati del suo cuore.
Se avessimo la consapevolezza che Dio ama in modo eterno, ciascuno di noi, nulla ci farebbe più paura.
[Maria Felicia mostra il video di Maradona che si esibisce in una serie di palleggi]

Guardando questo video, quello che mi meravigliava era che un semplice uomo, ma che faceva cose strabilianti con la palla, riusciva a trascinare le persone, riusciva a coinvolgere l’intera squadra, l’intero stadio; anche chi non era tifoso del Napoli apprezzava le qualità calcistiche di quest’uomo.
Ma che cosa lo rendeva così speciale? Conosceva le sue qualità, aveva scoperto il suo tesoro e cosa ha fatto? Ne ha fatto spettacolo.
Lui scopre il suo dono: saper giocare a pallone. Attraverso quel dono fa sognare tanti ragazzini, dei quartieri anche più disagiati, di poter diventare grandi calciatori.
Regala a ciascuno un sogno. Un popolo che vive tante situazioni di povertà, come quello napoletano, aveva visto in quella persona una possibilità per esso importante.
Del suo dono (Maradona) ne ha fatto un mezzo attraverso cui gli altri potessero vivere con gioia, spensieratezza, ma anche con orgoglio, la loro realtà.
Anche noi dobbiamo scoprire il nostro dono. Noi dobbiamo capire cos’è che ci rende speciali, per metterlo, poi, a servizio degli altri.
Nel dialogo tra Francesco e il crocifisso, quando Francesco chiede a Gesù: “Che cosa vuoi che io faccia?”, a me piace pensare che Gesù risponda: Ma tu, che vuoi fare? Io lo so quello che voglio da te e tu?
Oggi, immaginate che viene Gesù qua e dice: Tu che cosa vuoi? Ad ognuno. Lui lo dice chiaramente: Io voglio che tu sia felice, ma tu lo vuoi? Vuoi essere felice? E come fai ad essere felice, se non scopri quello che io ti ho donato? Come si fa?
Nel libro della Genesi, quando dio dona il giardino all’uomo, che cosa gli dice? Custodiscilo, coltivalo e abbine cura.
Uno dei termini che traduce la parola “coltivare”, in ebraico si traduce con “servire”. Allora come facciamo a capire qual’è la nostra felicità, se noi non riusciamo a leggere la grandezza che Dio ha messo in noi?
Come facciamo a servire il mondo, se non sappiamo come farlo? Io ancora sono alla ricerca, per capire qual’è la mia potenzialità, per poterla mettere a servizio. Perché questo è il nodo cruciale.
Oggi la chiesa sta vivendo uno dei momenti bui della sua storia, ma perché? Perché stiamo avendo una crisi di fede, una crisi di senso.
E non parliamo solo dei giovani. La crisi dei giovani è semplicemente il frutto della crisi degli adulti. Noi siamo persone in crisi. Benedetta crisi!
Benedetta, perché ci fa capire che non siamo persone arrivate. Guai quel giorno in cui noi diciamo: ok, a posto, già sono arrivato! E’ lì il momento in cui cadiamo, perché mai, mai nella nostra vita possiamo sentirci arrivati, se non quando, un giorno, innanzi a Dio, potremo dire: siamo stati servi inutili!
Perché, nel vangelo quando Gesù racconta questo episodio e dice: “…dopo aver fatto tutto dite che siete servi inutili” (Lc 17,10).
Abbiamo faticato tanto, ora pure inutili siamo!
Sono stato in fraternità per tanti anni, quando nessuno più c’era e ora sono pure inutile!
Verrà qualcun altro, più giovane e non farà più quello che ho progettato che ho voluto. Ma come è possibile, si è sempre fatto così!!!
Ecco, la morte delle nostre fraternità, il “si è sempre fatto così”!
Non esiste, perché, come dicevamo in precedenza, il vento dello Spirito soffia dove vuole e fa nascere realtà nuove che non possono essere rinchiuse e relegate nel “si è sempre fatto così”.
Non si può cambiare lo stemma della fraternità, perché è sempre stato questo!
Non possiamo cambiare il giorno dell’incontro, perché? Perché è sempre stato questo!
E che dobbiamo fare? E’ stato sempre così e da oggi non sarà più così! Si cambia. Se non ci fosse stata quest’ottica, dell’andare oltre il “si è sempre fatto così”, oggi noi non saremmo qui. La nostra fraternità oggi, così com’è, non sarebbe più così.
Se ogni obbedienza si fosse arrogata il diritto di dire “si è sempre fatto così”, oggi noi non saremmo più qui.
Noi l’abbiamo vissuta l’“unità”; se ognuno diceva: no! Dove si andava?
Siamo servi inutili, perché la gloria non va allo strumento,cioè noi, ma a chi lo usa.
Ecco perché siamo servi inutili. Ecco perché Dio ci dice di essere servi inutili, perché non montiamo in superbia; perché è lì il nodo cruciale, è lì il luogo teologico dove tutto si rivela; perché, quando noi compiamo delle azioni, quindi serviamo la fraternità, serviamo la Chiesa, se abbiamo un nostro tornaconto, non ha senso, perché non è animato dalla gratuità del servizio.
Sicuramente, quando vi sono le elezioni, viviamo con una certa frenesia il nostro ministero, il nostro servizio [che], tuttavia, non deve essere [finalizzato] alla nomina avuta, ma al desiderio [di fare, con] quella nomina, il bene della Chiesa.
Siamo all’inizio di questo nuovo anno pastorale, in quest’anno noi abbiamo ricordato l’incontro di Francesco con il sultano, ma questo è anche l’anniversario della più grande tribolazione che Francesco ha vissuto dopo il 1220, quando decide di lasciare l’Ordine a Pietro Cattani, perché si rende conto che lui non riesce più a guidarlo (l’Ordine).
Guardiamolo bene questo momento. Francesco, per il bene della fraternità non ha timore di fare un passo indietro. Questo cosa significa che domani tutti quanti ci dimettiamo dal nostro servizio? No, ma semplicemente, agiamo e serviamo come coloro i quali sono pronti ad essere [sollevati dall’incarico] in qualsiasi momento. Perché è così!
Diceva Francesco che “nulla è nostro, tutto ci è stato donato, fintanto che qualcuno venga e ce lo richieda” e noi, con gioia, glielo ridiamo, perché non è nostro; nulla è nostro.
Lasciamoci con due domande sulle quali, a mio avviso, dobbiamo riflettere in questo tempo. La prima è: Qual’è la mia fede? e la seconda: Come mostrarla?
Io comprendo quali siano le caratteristiche della mia fede, siamo tutti cristiani, siamo tutti battezzati, però qual’è la risultante?
Gesù è servo per nascita, noi siamo servi per il Battesimo. Diventa quasi un atteggiamento, un modo di essere che ci deve accompagnare per tutta la vita; non è che noi in fraternità siamo servi e poi, fuori, siamo delle arpie.
Chi mi ha sentito parlare altre volte sa che quando parlo della fraternità [la definisco] una palestra di vita.
Il presidente regionale della GiFra che, all’epoca, [eresse] la mia fraternità GiFra, così ce l’ha insegnata: Che cos’è la fraternità? Una palestra di vita!
Io imparo in fraternità a vivere nel mondo. Io imparo nella Chiesa come vivere nel mondo.
La vita non è all’interno della fraternità; la vita non è solo la fraternità.
Voi siete genitori, sposi, madri, figli, fratelli, sorelle, siamo dipendenti, siamo datori di lavoro, siamo studenti: è lì che si gioca la nostra santità; è lì che si gioca il nostro servizio, perché la fraternità, come dicevo prima, o è fortino o è porto.
Le nostre fraternità devono essere porti, perché noi stessi siamo porti, porti in cui ciascuno può attraccare e da cui ognuno se ne può andare.
Un altro bellissimo brano delle fonti francescane racconta quando Francesco si rammarica, perché i frati stanno vivendo un momento di tribolazione: “«Signore, affido a te la famiglia che mi hai dato!». E subito il Signore rispose: «Dimmi, o piccolo uomo semplice e ignorante: perché ti amareggi tanto se qualcuno esce dall’Ordine o quando i frati non camminano per la via che ti ho mostrato? Dimmi ancora: chi ha fondato questa fraternità? Chi provoca la conversione di un uomo? chi largisce la forza di perseverare nella nuova vita? Non sono forse io?»”. [F.F. 1777]
Noi ci affanniamo, perchè , magari, la fraternità è diventata anziana, perché i giovani non vogliono entrare in fraternità, perché molti se ne vogliono andare: Dio cosa sta dicendo? Non temere, non temere…
Il brano continua: «Quelli dunque che camminano per la via loro mostrata a te, possiedono me e ancor più mi possederanno; quelli invece che avranno voluto seguire altre strade, sarà loro tolto anche quello che credono di avere. E dunque, io ti dico che, d’ora in poi, non devi affannarti, ma fai bene quello che fai, continua a compiere il tuo lavoro: io ho fondato questa famiglia di frati in un amore eterno. Sappi che tanto li amo che se qualche frate ritornasse al vomito e morisse fuori dell’Ordine, ne invierò un altro che prenderà la corona al posto suo». Tutto a suo tempo. Tutto a suo tempo.
Dunque, abbiamo fede, cerchiamo di ritornare a quella fede. Cerchiamo di imparare dalle cose passate.
[Maria Felicia mostra il video tratto da “Il Re Leone” – Rafiki da’ una lezione a Simba su come imparare dal passato].

E ritorniamo a casa, nella casa in cui Dio ci ha chiamati che è il mondo; ritorniamo lì e portiamo un vento nuovo che è il vento dello Spirito.
Concludo con una preghiera che rende chiaro che cosa il Signore vuole da noi.
Puoi servirti di me
O Dio, tu hai chiamato a collaborare con te Abramo bugiardo e Mosè balbuziente, Sara impaziente e Rut straniera, Giacobbe imbroglione e Davide adultero, Elia irruente e Giona disobbediente, Giobbe con pessimi amici e moglie petulante, Geremia timido e pauroso, Israele che non contava niente. O Gesù, hai chiamato a collaborare con te Maria di Magdala, ragazza come tante, Zaccheo piccolo di statura, Tommaso dubbioso e Pietro impulsivo, Paolo assassino e Matteo grande ladro, Giacomo e Giovanni ambiziosi e Lazzaro già morto. Se Tu, Signore, ti sei servito di loro, puoi servirti anche di me per migliorare il mondo. Dammi la docilità del cuore e della mente perché possa essere audace apostolo come sant’Eugenio de Mazenod, seminatore del vangelo e testimone dell’Amore verso i più poveri (Missionari Oblati di Maria Immacolata di Palermo).

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