Presso Dio il grido dei poveri trova ascolto

Presso Dio il grido dei poveri trova ascolto“. “Ma in noi?”, si è chiesto Papa Bergoglio in occasione della Giornata Mondiale dei poveri, nel novembre dell’anno appena trascorso, con voce accorata. “Abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire, mani tese per aiutare?”, ha aggiunto, per poi concludere: “Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Ci chiede di riconoscerlo in chi ha fame e sete, è forestiero e spogliato di dignità, malato e carcerato“.
Il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi. Il credente tenda la mano, come fa Gesù con lui“.
Questo il tema che ha guidato l’incontro di sabato 19 gennaio, tra le fraternità della Zona di Napoli Centro-Nord, presso il Convento dei Frati Minori di Miano, Parrocchia di Santa Maria dell’Arco.
A parlarci della povertà nella Scrittura è stato il prof. Luigi Santopaolo che ha consentito di focalizzare la nostra attenzione su alcuni aspetti di essa che, spesso, diamo per scontati ma che, visti dalla prospettiva scritturistica, assumono immagini totalmente nuove e affascinanti.
Premessa importante: la Parola di Dio è sempre una parola incarnata in un contesto, in un tempo, in una storia. Non deve assolutamente prevalere la mia parola su quella di Dio, altrimenti provoco una forzatura nella sua comprensione e interpretazione. Ilario di Poitiers affermava: “Signore fa sì che la tua parola sia lampada ai miei passi e che non siano i miei passi a diventare lampada alla tua parola”.
Nella Bibbia, dunque, quando troviamo la parola “povero” a cosa la associamo? La nostra consueta equazione è: Povero=bisognoso. Il povero è colui che manca di qualcosa. Il mio concetto di povertà, dunque, si associa subito a ciò che fa parte della mia cultura.
Nella Scrittura, invece, esistono due termini, in particolare, che indicano la povertà in senso completamente diverso:

1. ’ebhyôn: è colui che manca di qualcosa. Verso questi poveri il Signore dà all’uomo la responsabilità di provvedere. Si tratta, in pratica, di una povertà che rimanda alle opere di misericordia, sia quelle spirituali sia quelle corporali, come si legge in Dt 15.
2. ‘anawîm: sono i poveri che l’uomo non può consolare. È il Signore che provvede a tale povertà. Ci sono cinque categorie di poveri che rientrano in questa forma di povertà inconsolabile: l’orfano, la vedova, lo straniero, la sterile e il lebbroso.

Cosa significa che questi poveri sono inconsolabili? Significa che non si può farli ritornare nella loro condizione originaria: riavere il marito, il genitore, la patria, il figlio (dove per sterilità non si intende solo la condizione della donna che non può partorire il figlio – anche e soprattutto per età avanzata – ma altresì di colei che ha avuto un figlio ma le è morto), la vita sociale.
Relativamente a queste cinque categorie di poveri, il Signore, un po’ dappertutto nella Prima Alleanza, dice: “Costoro sono miei, mi appartengono, non li opprimere” (cfr Zaccaria 9). Orfani, vedove e stranieri avevano una simile condizione nella legislazione antica del Vicino Oriente, ovvero non avevano capacità giuridica, non potevano cioè appellarsi in tribunale. Erano gli affamati di giustizia. Ma il Signore si erge a loro difensore.
Come si relaziona Gesù nel Nuovo Testamento rispetto ai poveri? All’inizio delle Beatitudini ci dice: “Beati i poveri”, e si riferisce alle cinque categorie del Primo Testamento. Il vangelo di Luca si occupa, in particolare, di queste cinque povertà che l’uomo non può consolare: si racconta di una vedova che accompagna l’unico figlio, morto, al cimitero per farlo seppellire. Lungo la strada Gesù incontra questa vedova e prova compassione per lei. Allora disse al giovane “alzati” ed egli si alzò. Gesù è venuto a consolare, in un solo colpo, la vedova e la sterile. Gesù è venuto a consolare ogni forma di povertà (le povertà di spirito) con la Resurrezione. La Resurrezione è la consolazione estrema di ogni povertà perché le vedove rivedranno i loro mariti, perché gli orfani rivedranno i loro genitori, perché le sterili diventeranno madri di molti figli, perché lo straniero finalmente troverà casa, perché il lebbroso troverà la guarigione.
I cristiani credono nella resurrezione della carne o credono che tutto quanto debba realizzarsi qui, sulla terra? Davanti ad un mistero così grande in cui Gesù non si è limitato a consolarci ma ha voluto prendere la nostra condizione per non guardarci dall’alto in basso e dire “io vi ho consolati” e si è fatto anche lui consolato con noi, non possiamo cessare di ringraziarlo: oggi io so che quando soffro Tu soffri con me, quando muoio Tu muori con me, so che quando vedo uno straniero Tu sei il mio fratello straniero…in tutte le condizioni di povertà io vedo Te.

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